Carissimi,
settimana pesantissima, un po’ di film visti nei ritagli di tempo, eccoli a
voi.
Come sempre: CINEMA (visti in sala), TV (visti in salotto), PC (visti in
cameretta al PC), BIBLIOTECA (col tablet in biblioteca) e TRENO (col tablet tra
una trasferta lavorativa e l’altra). E voi? Cos'avete visto questa settimana?
Rompicapo a New York (Cédric Klapish, 2013) PC
E’
stato il mio film della domenica. Non sapevo esistesse, pur essendo uscito da
un bel po’, e non so come abbia potuto sfuggirmi, visto che sono molto legata
sia al L’appartamento Spagnolo sia al suo pregevole seguito Bambole
Russe. Non sono capolavori, ma hanno avuto il pregio di fotografare la prima
generazione di europei cittadini del mondo, decentrati, mutevoli, in qualche
modo pionieri di un futuro con lo zaino in spalla, con poche certezze, poco
senso pratico, spirito d'avventura e tanta voglia di allargare i confini della propria testa e del
proprio cuore. Questo è il terzo film della serie e ritroviamo così, 10 anni
dopo, i quarantenni Xavier (ormai scrittore affermato), Wendy, Isabelle e
Martine, ex erasmus, ex amici, ex fidanzati, sempre e comunque in qualche modo
uniti, dopo i figli e le delusioni sentimentali. Il titolo originale è Casse-tête
chinois, rompicapo cinese, e forse sarebbe stato meglio tradurlo letteralmente,
anche per rendere la continuità con i precedenti. Si riferisce alla routine complicata
delle famiglie non tradizionali, di cui questo film è, di fatto, l’emblema, tra
la maternità lesbica ricercata da Isabelle, il divorzio di Xavier da Wendy, il
suo riavvicinamento a Martine, il tutto nella cornice di New York, la magmatica
città dove niente dura per sempre, intrico di culture e di caos esistenziale. Un
film che inizialmente mi ha lasciato un po’ l’amaro in bocca, ma che tutto
sommato, ragionato a mente fredda, riprende con coerenza i fili lasciati
pendere dal precedente senza grandi concessioni all’autoassolvimento. Però alcune cose davvero non mi sono piaciute: l’inverosimiglianza del fatto che, casualmente,
tutti i protagonisti, per una ragione o per l’altra, si trovino a decidere di
trasferirsi a New York un po’ come se niente fosse, con tutto ciò che comporta
burocraticamente ed emotivamente; ma soprattutto il pessimo-pessimo-pessimo
doppiaggio italiano, che cambia completamente la voce di Xavier e rimette a
Wendy l’insopportabile accento inglese “alla Stanlio e Ollio” che era stato fortunatamente abbandonato nel secondo film. Sono davvero pentita di non averlo
visto in francese.
Probabilmente
vedere questo film mentre andavo e venivo dalla montagne mi ha consentito di
apprezzarlo ulteriormente. Confesso di averlo semplicemente adorato. Un film
ambizioso e riuscito, magnificamente interpretato. Non vi racconto niente della
trama, perché la sceneggiatura è interessantissima e la storia va gustata senza
informazioni di sorta. Non perché sia un giallo, ma perché la costruzione è
veramente originale, un intreccio inestricabile di vita vera e spettacolo, di
finzione scenica e tormenti autentici. Per tematiche mi ha parzialmente
ricordato Birdman, ma solo come spirito di fondo. Il finale è inatteso e
ambiguo, mi confronterei volentieri con chi l’ha visto per avere pareri in
proposito, perché è variamente interpretabile. Juliette Binoche non è mai stata
così bella e affascinante, neanche quando, giovanissima, recitava ne “Il danno”
e il suo inglese è da ammirare. Kristen Stewart si sta degnissimamente
emancipando dal post twilight e ci regala il personaggio più controverso di
questa storia controversa. Chloe Moretz non mi piace, l’ho già detto e lo
ribadisco. Magari cambierò idea, ma per ora continuo a trovarla insopportabile.
La famiglia Belier (Eric Lartigau, 2014) CINEMA
Mia visione del sabato sera al cinema con gli amici: un film di formazione d’impianto americano, con la classica presa di coscienza di un talento, l’iniziale fiducia, poi la sfiducia/il contrasto dei famigliari, la risalita e il successo. Niente di nuovo sotto il sole, se non fosse che la famiglia della protagonista è integralmente sordomuta e decisamente sopra le righe. Le scene ad alto tasso di commozione, veramente ben concepite, non mancano e i personaggi sono davvero graziosi da guardare interagire e il tema della disabilità uditiva è trattato con autoironia e una buona dose di politicamente scorretto. Come creare un prodotto simpatico e a tratti originale pur su un canovaccio logoro e di apparente sterilità. Louane Emera, l’attrice che interpreta Paula, è una star di talent show musicali francesi e ha vinto il Premio César per il migliore esordio femminile dell’anno (ed è, in effetti, molto convincente).
Una
casa alla fine del mondo (Michael Meyer, 2004) TV
Tratto
dall’omonimo romanzo di Michael Cunningam (che sfortunatamente non ho letto), l’ho
rivisto per la prima volta a quasi dieci anni di distanza dalla prima visione. Niente
o quasi mi ricordavo, salvo la tremenda scena in cui muore il fratello del
protagonista. Storia di un complicato triangolo amoroso ad alto tasso di
tragedia, pur messo in scena con molto tatto. Non so perché, ma il ricordo che
ne conservavo era forse migliore. Comunque un ottimo Colin Farrell in un ruolo
abbastanza anomalo per lui.
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