La
vostra figura retorica cinemaniaca questa settimana è provata dal passaggio da
mezzo lavoro a due (evviva!), il che ha inevitabilmente influito sulla programmazione.
Vediamo insieme come sono andati questi ultimi dieci giorni di visioni. Come
sempre: CINEMA (visti in sala), TV (visti in salotto), PC (visti in cameretta
al PC), BIBLIOTECA (col tablet in biblioteca) e TRENO (col tablet tra una
trasferta lavorativa e l’altra).
Laurence
Anyways (Xavier Dolan, 2012) (TRENO-BIBLIOTECA)
Probabilmente
è il miglior film visto nelle ultime settimane, mi ha conquistata. Premetto che
conosco Xavier Dolan da un po’: classe ’89 (è più giovane di me!), canadese del
Québec (quindi bilingue, ma con una preponderanza francofona), ha già girato
sei film da regista, di alcuni è anche interprete, e quasi sempre è anche
montatore, costumista e responsabile delle scelte musicali per le colonne
sonore dei suoi film. A tempo perso recita anche in film altrui ed è
doppiatore. Ecco. Di suo ho già visto Les amours imaginaires (notevole, anche
se l’ho trovato personalmente lento), Tom à la ferme (decisamente inquietante)
e Mommy (suo ultimo film e primo giunto in Italia, per cui ho potuto vederlo
doppiato, in sala). Mi mancava Laurence Anyways, suo penultimo, e ora che l’ho
visto sono felice di aver aspettato tanto, perché è il suo migliore finora,
senza alcun dubbio: è una storia d’amore struggente, che va oltre il sesso
e l’orientamento sessuale, e racconta la presa di coscienza della propria transessualità
da parte di un uomo, insegnante di letteratura e scrittore. E del complicato,
intenso e problematico rapporto con la donna della sua vita, che continuerà ad
amare riamato, sia pur con alti e bassi, tra la ricerca di una vita più
autentica e il desiderio di essere come tutti. Un film che sembra parlare di
una realtà lontanissima ed estrema, ma è in realtà uno specchio impietoso di tutte
le nostre gabbie mentali, delle nostre aspirazioni soffocate. E’ un po’
difficile da trovare, ma se riuscite recuperatelo. Io l’ho veramente adorato.
Se vi piace Wong Kar Wai troverete qualcosa anche di lui. Visto in lingua
originale (francese di base, con qualche infiltrazione di inglese).
Suite
Francese (Saul Dibb, 2015) CINEMA
Conosco
Irène Némirovsky solo di fama e stranamente, visto che il suo libro Suite
Francese, da cui questo film è tratto, io non l’ho mai letto. Dico stranamente
perché, da quando fu scoperto nel 2004 (pur essendo stato scritto negli anni ’40),
è diventato un best-seller mondiale, forse il libro più venduto della casa
editrice Adelphi degli ultimi anni. Forse proprio perché tutti ne parlavano non
mi attirava più di tanto. Anche se la storia di contorno è di quelle che
restano impresse: Irène Némirovsky sta scrivendo il suo capolavoro, viene deportata
e muore ad Auschwitz nel 1942. Cinquant’anni dopo sua figlia riscopre in una
borsa il manoscritto incompiuto, che viene pubblicato con il successo che
sappiamo. Ecco, questo è l’antefatto, che viene raccontato alla fine del film,
prima dei titoli di coda, mentre sullo sfondo scorrono le pagine del
manoscritto originale (trovata geniale e meravigliosa).
Una
storia profondamente umana, di tragici non detti, della fatica di vivere che
incontra la mannaia della storia, quando una guarnigione di soldati nazisti si
installa in un paesino della Francia occupata seminando terrore e portando alla
luce tutti i nervi scoperti di una comunità in cui ancora vigono equilibri di
potere quasi feudali. Tra gli abusi dei notabili locali, quelli dei nazisti e le
piccole vendette dei subalterni, un soldato musicista tedesco e una benestante donna
francese si scoprono simili e si amano, nonostante tutto. Cast indovinato: bravissima Michelle Williams,
fintamente gelido Matthias Schoenaerts, perfetta nella sua aristocratica contraddittorietà
Kristin Scott Thomas (nel ruolo della suocera della protagonista, classista e tirannica, ma capace di autentici atti di coraggio). Forse leggermente
prolisso in alcuni passaggi, ma per il resto realmente emozionante.
Consigliato
da un amico cinefilo per fare un confronto con il personaggio interpretato da
Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany (che ho recentemente rivisto), ho visto
questo film di Billy Wilder, uno dei pochi a me ignoti della sua filmografia
(personalmente i miei preferiti sono L’appartamento e Sabrina). Di difficile reperibilità, mi sono dovuta adattare
a guardarlo in spagnolo con i relativi sottotitoli (sono una filologa della
domenica, ma tanto lo sapevate già!), il che forse me l’ha fatto percepire con
un’aura da telenovela sudamericana che in originale sicuramente non ha, per
quanto le situazioni buffe e surreali non manchino. L’ho trovato carino, con
trovate interessanti e personaggi sicuramente iconici, dal playboy Gary Cooper
al padre investigatore, forse la figura più particolare e divertente. Lontano,
però, dagli altri capolavori di Wilder, almeno secondo me.
Broken
Flowers (Jim Jarmusch, 2005) TV
Ho
visto questo film in salotto con mia mamma, entrambe eravamo inconsapevoli di essere
incappate in un film d’autore e non in una commedia brillante. Adoriamo Bill
Murrey, che qui è al suo meglio di cinicità e flemma scazoide. In Broken flowers interpreta
un ex playboy che viene contattato da una ex amante, la quale gli notifica di
aver avuto un figlio da lui e che questo figlio lo sta cercando. Spinto dal
vicino di casa col pallino per l’investigazione parte per un viaggio attraverso
l’America, visitando quattro donne che potrebbero essere la ex misteriosa e
madre di suo figlio. Anticipo che quasi tutte le domande dello spettatore
resteranno senza risposta e che forse tutto sommato è meglio così. Mia mamma è
rimasta solennemente frustrata da questo film, mentre a me questa struttura lenta, con tanti tempi morti, è piaciuta tantissimo. Una riflessione a
tutto tondo su vari cliché della società americana: ognuna di queste donne è un
caso paradigmatico, uno stereotipo che viene messo in discussione; abbiamo la
madre single hippy, la moglie modello-casalinga disperata, la ex avvocatessa
convertita in psicoterapeuta per animali da compagnia e la fattona che vive in
roulotte. Il viaggio del protagonista è un un itinerario dell’anima che gli fa
comprendere l’assolutezza del presente, la sola cosa reale, dato che il passato
è una terra straniere e il futuro è ignoto. Da recuperare, ammesso che vi piacciano i ritmi cadenzati, i tempi morti e i film privi di risposte.
Devo recuperare questo Dolan, allora, e Suite Francese.
RispondiEliminaCome ti dicevo, dell'ultimo, aspetto prima di leggere il libro, perché mi è arrivato qualche giorno fa, nella ristampa Garzanti. Amo la Williams, che con la sua bellezza così dimessa riesce sempre a farti innamorare dei suoi personaggi, e il tipo accanto a lei era staordinario, accanto alla straordinaria Cotillard, in Un sapore di ruggine e ossa. Se non lo conosci, recupera: mettiti a lavoro! :)
Recupera presto questo Dolan, devi troppo.Io mi segno Un sapore di ruggine e ossa ;)
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