Dunque
eccomi, pronta per questa seconda settimana di CinemOssi.
Alle
solite etichette CINEMA (film visti in sala), TV (visti sulla tv del soggiorno
con i miei famigliari) e PC (visti in camera caritatis nella mia stanza) si
aggiunge una quarta etichetta, TRENO (la vostra Ossi in questo periodo lavora in
un’altra regione, ragion per cui “pendola” su e giù col treno e usa un tablet
da pochi euro sottratto indebitamente alla sua genitrice per poter far fruttare
anche cinematograficamente il tempo del viaggio).
E voi? Ditemi nei commenti che cos’avete visto questa settimana.
Ho
visto questo film consapevole del rischio che correvo: 148 minuti di una storia tra il grottesco e l’underground che poteva tranquillamente schifarmi o peggio
mandarmi in coma. Il regista lo conosco più di fama che per diretta visione (ho
visto pezzi vaganti di Magnolia e Il petroliere) e l’autore da cui è tratta la
sceneggiatura (Pynchon), l’ho sempre evitato, nonostante sia uno degli autori
feticcio di alcuni cari amici. Per cui sono partita con quella curiosità un po’
perversa che ti prende quando sai già che una cosa non ti piacerà, ma la
affronti con una certa curiosità di capire il perché. E fu così che invece
Vizio di forma, pur non essendo un capolavoro, mi piacque tantissimo,
stupendomi ad ogni passaggio, ad ogni dialogo, ad ogni trovata assurda: è
underground, è postmoderno, è hippy, è inverosimile, è grottesco, è sopra le
righe, è strafatto. Il film come il personaggio protagonista,
un detective fattone sonnolento e inaspettatamente argutissimo, magistralmente
interpretato da Joaquin Phoenix, uno dei miei attori preferiti di tutti i
tempi. Niente, l’ho amato: mi ha stralunata, sorpresa, sconvolta, confusa,
illuminata, ma soprattutto divertita, con questo film si ride tantissimo; confesso
che non mi sono mai fatta una canna, ma penso che la visione di questo film dia
come effetto finale proprio quello. Tantissime le sequenze memorabili: dai
dialoghi assolutamente geniali tra il protagonista e il poliziotto Big Foot, il
surreale ed esilarante racconto della storia d’amore tra due spacciatori di
eroina interpretati da Owen Wilson e Jena Malone, la scena nel centro massaggi
cinese, la sequenza amorosa “dilazionata” tra il protagonista e la sua amata, i
look improbabili di alcuni personaggi e i loro nomi parlanti. Una lucida e ciondolante
confusione in bilico tra realtà e follia. Notine negative solo per qualche
perdonabile lungaggine nella parte centrale. Dategli una chance!
Quando
ho letto nella trama “La ventottenne Megan sembra bloccata in uno stato di
adolescenza permanente. Incapace di trovare il lavoro della sua vita, uscendo
sempre con gli stessi amici e vivendo con il fidanzato del liceo”, mi sono
detta “è la storia della mia vita, devo vederlo”. In realtà, a differenza della
sottoscritta, la protagonista è un’adolescente solo per scelta, tuttavia la sua
parabola di crescita è una storia di formazione tutt’altro che scontata: aldilà
del finale, che è abbastanza telefonato, le riflessioni di Megan non sono
banali, l’ansia che pervade la difficile fase del definitivo distacco dalla
postadolescenza per accedere all’età adulta (che sempre più si colloca a
ridosso dei trenta) è resa verosimilmente, pur senza eccedere in finezza. Così
come la necessità di distaccarsi almeno un po’ da ciò che si è sempre avuto,
sull’importanza di abbracciare nuove prospettive e costruirsi nuovi occhi per
valutare la propria realtà da altri punti di vista. Intrattenimento godibile,
ottima visione da treno. Visto in lingua originale.
Due
sole domande per i miei lettori: solo io non impazzisco per Chloe Moretz? E
soprattutto, che vuol dire Laggies? Qualcuno mi illumini, per piacere
piacerissimo.
Questo
film polacco si è portato a casa la statuetta come miglior film straniero,
quest’anno. Una storia intimista, in bianco e nero, protagonista una novizia
orfana che viene mandata a conoscere la realtà fuori dal convento affinché sperimenti la vita mondana prima di
prendere il velo. La storia di una presa di coscienza sussurrata, complici una
zia libertina e depressa, un bel sassofonista e soprattutto un’atroce
rivelazione sulla sua infanzia e sulla morte dei genitori. Finale forse
prevedibile, ma perfetto. Non è un film che mi abbia bucato il cuore, ma la sua efficacia minimale e l’interpretazione in punta di piedi della protagonista
colpiscono.
Continua la mia tardiva esplorazione del regista messicano che mi ha colpita con Birdman e fatta innamorate con Amores Perros. Questo
http://en.wikipedia.org/wiki/Laggies#Title
RispondiEliminadovrebbe essere fannulloni
Uh, grazie!!! Mi hai illuminata!
RispondiEliminaSì, Laggies è tipo "lumache". Gente lenta, pigra, che non si muove mai.
RispondiEliminaUna traduzione letterale letterale non penso ci sia. Rende bene però l'apatia della protagonista. Film, come ti dicevo, carinissimo anche per me. Keira è una delle poche persone al mondo a cui non dona l'accento inglese: le sue solite smorfie stanno meglio con l'americano. E con la commedia romantica. Ida piaciuto, sì, ma non mi ha detto granché: fotografia splendida, però. :)